Disfunzione sinaptica del cervelletto nella SLA con DFT

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 18 settembre 2021.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Da tempo i neurologi studiano manifestazioni cliniche attribuibili a disfunzione cerebellare in pazienti affetti da degenerazione lobare frontotemporale (DFT) associata a malattia del motoneurone, ossia sclerosi laterale amiotrofica (SLA), sebbene paradigmaticamente la DFT/SLA decorra senza alcun interessamento del cervelletto e nella maggior parte dei casi non esistono componenti cerebellari nella sintomatologia clinica.

La comprensione del modo in cui possono essere in rapporto processi tanto diversi nel loro sviluppo anatomopatologico, con la SLA che mostra una prevalenza selettiva per il motoneurone superiore e inferiore, la DFT che si manifesta con degenerazione circoscritta all’interno dei lobi cerebrali e un disturbo della fisiologia cerebellare non ancora bene definito, può fornire elementi rilevanti non solo per la neuropatologia, ma anche più in generale per la comprensione di aspetti poco noti della neurobiologia dell’encefalo.

Il cervelletto, tradizionalmente considerato come la principale struttura del grande circuito interposto tra corteccia sensoriale e motoria in grado di integrare informazioni provenienti dalle vie spinali, trigeminali e vestibolari e così modulare la base funzionale dei movimenti fini e della regolazione posturale in funzione dell’equilibrio come dell’esecuzione dei movimenti rapidi ed esplosivi, interviene nella modulazione della durata dei treni di scarica in uscita dai nuclei della base encefalica, partecipando alla graduazione o regolazione di numerosi altri processi cerebrali non di carattere motorio. Il suo importante ruolo nell’apprendimento procedurale è una nozione consolidata come funzione cerebellare nell’apprendimento motorio, ossia l’unica forma di apprendimento procedurale che può agevolmente essere dimostrata attraverso la verifica sperimentale.

La triade della neurologia classica, cioè nistagmo, tremore intenzionale e parola scandita che indica lesione cerebellare, è rivelatrice della partecipazione del cervelletto al controllo dei movimenti oculari, delle componenti funzionali degli atti motori e dell’esecuzione verbale; ma oggi, soprattutto grazie agli studi di neuroimmagine funzionale, sappiamo della partecipazione del cervelletto a numerosi processi cognitivi e ad altre attività psichiche, con un probabile ruolo di regolatore di intensità delle componenti provenienti dai vari sistemi neuronici dell’encefalo[1].

Altri sintomi neurologici classici sono l’atassia del tronco, associata a lesioni sulla linea mediana del cervelletto, l’atassia del passo, associata a lesioni del lobo anteriore del cervelletto, e l’alterazione della coordinazione dei movimenti volontari, associata a danno neocerebellare; infine, sono segno di interessamento patologico del cervelletto l’adiadococinesia, che si può rilevare con prove di rotazione coordinata degli avambracci (movimenti di pronazione-supinazione della mano) e con l’esecuzione di compiti come avvitare il coperchio di un barattolo con una mano, tenendo il barattolo con l’altra, e la dismetria, evidenziabile attraverso le prove classiche indice-naso e calcagno-ginocchio.

È opportuno ricordare che, nei casi di SLA/DFT, molto raramente si rileva la positività di alcuni di questi segni, a volte caratterizzata dall’essere sfumata e incostante.

Lo studio neuropatologico, in particolare neurogenetico, ha focalizzato l’attenzione sul gene C9orf72. Un’espansione esanucleotidica ripetuta è la più comune causa genetica di SLA e DFT, con disfunzione sinaptica identificata quale contrassegno patologico. Sebbene siano assenti dal cervelletto elementi della patologia TDP-43 e non si riscontrino segni di neurodegenerazione cerebellare, il contrassegno patologico di foci RNA e le inclusioni DPR (dipeptide repeat protein) sono molto abbondanti.

Aleksandra Kaliszewska, Joseph Allison e colleghi hanno condotto un’accurata revisione della letteratura scientifica pubblicata di recente sull’argomento, facendo uno screening su 19.515 pubblicazioni per estrarre gli studi sperimentali dedicati a C9orf72, sinapsi e cervelletto.

I risultati dei maggiori studi e le deduzioni degli autori sono di notevole interesse.

(Kaliszewska A., et al., Elucidating the Role of Cerebellar Synaptic Dysfunction in C9orf72-ALS/FTD- a Systematic Review and Meta-Analysis. Cerebellum Epub ahead of print doi: 10.1007/s12311-021-01320-0, Sep. 7, 2021).

La provenienza degli autori è la seguente: UK Dementia Research Institute at King’s College London, Institute of Psychiatry, Psychology and Neuroscience, Department of Basic & Clinical Neuroscience, Maurice Wohl Clinical Neuroscience Institute, London (Regno Unito); Centre for Brain Research, University of Auckland, Auckland (Nuova Zelanda); INEUROPA, Institute of Neuroscience of Principado de Asturias, Oviedo (Spagna).

Riprendendo un’introduzione sul cervelletto tratta da una recensione dello scorso anno[2], la si integra con elementi sulle connessioni cerebellari che possono facilitare la comprensione dell’estesa partecipazione modulatoria di questa importante formazione del nevrasse.

Il cervelletto è quella parte dell’encefalo che occupa la fossa cranica posteriore ed è presente in tutti i vertebrati con uno sviluppo proporzionato a quello del cervello. Si presenta costituito da tre parti: una struttura mediana di minore dimensione denominata verme cerebellare, corrispondente al cervelletto primitivo presente anche nei più bassi vertebrati (paleocerebello), e due espansioni laterali dette emisferi cerebellari. È situato nella loggia cerebellare delimitata dal tentorio e si sviluppa sotto il cervello, dietro il ponte, sopra il bulbo, separato dal tronco encefalico, nella parte media, dal quarto ventricolo. Il suo diametro trasverso raggiunge un massimo di dieci centimetri, mentre verticalmente supera raramente i cinque centimetri per un peso complessivo medio di 140 g, ossia l’ottava parte del peso del cervello.

I solchi del cervelletto consentono di ripartirlo in tre lobi e numerosi lobuli, accuratamente descritti dagli antichi anatomisti secondo criteri che non hanno trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.

Le tre formazioni che collegano il cervelletto con il resto dell’encefalo, ossia i tre peduncoli cerebellari, sono distinti in superiore, medio e inferiore.

Il peduncolo superiore contiene tutte le fibre efferenti dei nuclei dentato, emboliforme e globoso e un piccolo fascicolo dal nucleo del fastigio.

Il peduncolo medio è il più laterale e di gran lunga il più grande dei tre, che si sviluppa costituendo la struttura stessa di fibre trasverse del ponte ed è costituito quasi interamente dagli assoni che nascono dai nuclei pontini basali controlaterali, con un piccolo contingente dai nuclei del tegmento pontino.

Il peduncolo inferiore, che origina medialmente al peduncolo medio, è costituito dal corpo restiforme e dal corpo juxta-restiforme; il corpo restiforme è una struttura esclusivamente afferente che riceve il tratto spinocerebellare posteriore dal midollo spinale, e dal bulbo riceve i fasci trigeminocerebellare, cuneocerebellare e olivocerebellare; il corpo juxta-restifome è una struttura efferente.

Per rendersi conto dell’enorme spetto di processi modulati dal cervelletto è opportuno ricordare le principali connessioni afferenti ed efferenti, che costituiscono una sorta di paradigma macroscopico di base dei collegamenti che si articolano localmente nelle piccole reti microscopiche.

Connessioni afferenti al cervelletto. Costituite soprattutto da fibre muscoidi e fibre rampicanti, delle quali si dirà più avanti dopo i cenni sulla corteccia cerebellare.

I principali contingenti afferenti si possono schematizzare come segue.

1)      Fibre spinocerebellari e trigeminocerebellari, che possono così distinguersi: tratto spinocerebellare posteriore (o dorsale); tratto spinocerebellare anteriore; tratto spinocerebellare rostrale; tratto cuneocerebellare; contingenti trigeminocerebellari.

2)      Fibre olivocerebellari.

3)      Fibre vestibolocerebellari.

4)      Fibre reticolocerebellari.

5)      Fibre pontocerebellari.

Connessioni efferenti dal cervelletto. L’uscita cerebellare è costituita dalle proiezioni GABAergiche inibitorie che vanno dalle cellule di Purkinje ai nuclei cerebellari e vestibolari, e dalle connessioni efferenti che dai nuclei del cervelletto vanno ai centri motori del tronco encefalico e, attraverso il talamo, alla corteccia motoria del cervello.

I principali contingenti efferenti si possono schematizzare come segue.

1)      Fibre cerebellari corticonucleari e corticovestibolari.

2)      Fibre cerebellovestibolari e cerebelloreticolari

3)      Fibre cerebellorubre e cerebellotalamiche

Il fascino esercitato sugli antichi morfologi dalla struttura corticale cerebellare costituita da innumerevoli lamelle è stato superiore a quello dell’organizzazione in rami e ramoscelli diretti ai lobuli della sostanza bianca del centro midollare o tronco, cui diedero il suggestivo nome di albero della vita. Contrariamente a quanto creduto da alcuni studiosi contemporanei di storia della medicina, questa denominazione non trae affatto origine dall’erronea attribuzione al cervelletto di un ruolo vitale nella fisiologia dell’organismo, ma dall’analogia morfologica con la tuia (Thuja, L. 1753), una pianta arborea sempreverde delle Cupressaceae che presenta, al posto di foglie larghe, verdi diramazioni e sotto-diramazioni multiple costituite da minuscole scagliette foliacee[3]. A differenza del cervello, in cui la sostanza bianca ha un’enorme espansione indipendente con le sue strutture interemisferiche e il centro ovale di Vieussens, entrando solo perifericamente nella costituzione dei giri corticali, nel cervelletto l’aggregato pirenoforico corticale segue come un rivestimento tutte le diramazioni della sostanza bianca che, nell’aspetto morfologico macroscopico delle sezioni dell’organo, appare come un semplice complemento della preponderante struttura grigia.

La corteccia del cervelletto ha lo spessore di un millimetro o un millimetro e mezzo, e al taglio rivela due zone di aspetto differente: 1) uno strato esterno o superficiale di colore grigio pallido; 2) uno strato interno o profondo dal colorito tendente al fulvo rossastro, che giustifica la definizione di strato rugginoso.

L’esame microscopico della corteccia cerebellare consente di distinguere uno strato esterno o molecolare, che costituisce circa la metà dell’intera struttura e presenta abbondanza di fibre e scarsità di cellule, e uno strato interno o granuloso caratterizzato da numerosissime cellule.

Fra queste due lamine di tessuto grigio si interpone uno strato intermedio o zona mediana, sottile ma caratterizzata da una fila di neuroni esclusivi del cervelletto e dalla morfologia inconfondibile: le cellule di Purkinje.

Le cellule di Purkinje sono disposte a formare una fila abbastanza regolare, anche se a tratti si notano lievi irregolarità, perché alcuni di questi neuroni inibitori GABAergici sono dislocati verso la superficie esterna della corteccia, non in linea con la maggioranza, tanto da meritarsi il nome di “cellule spostate”, con il quale erano state descritte da Santiago Ramon y Cajal. Le cellule di Purkinje sono piriformi, con l’asse maggiore di 50-60 micron e una larghezza non superiore ai 25-30 micron, e presentano al polo superiore, rivolto verso la superficie esterna della corteccia, un tronco dendritico di grande calibro che si divide presto in grosse diramazioni principali, dalle quali originano, con una morfologia che ricorda un po’ quella dei rami della quercia, diramazioni secondarie e terziarie, che penetrano nello strato molecolare. L’espansione a ventaglio si risolve in una “lussureggiante arborizzazione che si può seguire fino alla superficie piale”[4], secondo la descrizione classica. Sui rami si possono osservare le numerosissime spine dendritiche, che in questi neuroni sono state accuratamente studiate nell’ultrastruttura al microscopio elettronico. È interessante la disposizione della fitta arborizzazione dendritica delle cellule di Purkinje, che Obersteiner paragonò a una pianta di vivaio fatta sviluppare intorno a un “sostegno a spalliera”, da cui la denominazione di spalliera dendritica che si adotta attualmente. Questa struttura è infatti disposta su un piano ortogonale rispetto a quello principale della lamella della corteccia del cervelletto, per cui si dice che l’arborizzazione a spalliera “si espande per traverso alla lamella”[5].

Dal polo opposto o interno della cellula di Purkinje origina il neurite che diventa cilindrasse, ossia assone rivestito di mielina[6], presentando la caratteristica di un diametro inferiore a quello del tronco dendritico, all’opposto di quanto accade per la maggior parte dei neuroni. Dopo un tratto più o meno breve, l’assone emette rami collaterali, alcuni dei quali terminano nello strato granuloso mentre altri risalgono come collaterali retrogradi fino al molecolare dove assumono decorso orizzontale e terminano circondando con una terminazione anulare il tronco dendritico della stessa cellula, di un’altra o di numerose altre cellule di Purkinje, realizzando un controllo inibitorio retrogrado dell’input che arriva dalle sinapsi formate dalle spine della spalliera dendritica con i neuriti dei neuroni che compongono la citoarchitettonica corticale. Dopo aver emesso i collaterali, proseguendo il suo percorso, il neurite entra con la miriade di altri cilindrassi omologhi nella sostanza midollare, dove costituisce la connessione diretta ai nuclei centrali del cervelletto, ossia la via cortico-nucleare cerebellare.

In estrema sintesi la struttura della corteccia cerebellare può essere schematizzata come segue.

1)      Lo strato molecolare, esterno, caratterizzato dalla cellula dei canestri: contiene ramificazioni dendritiche delle cellule di Purkinje, le fibre rampicanti e i rami orizzontali dei neuriti dei granuli, che costituiscono la maggioranza delle fibre di questo strato.

2)      Lo strato granuloso, interno, caratterizzato dal tipo neuronico del granulo e dai caratteristici glomeruli cerebellari nei quali si incontrano le fibre muscoidi e i dendriti dei granuli. Tutto lo spessore è attraversato da fibre muscoidi e fibre rampicanti, come da tutte le altre fibre afferenti, e contiene il corpo delle cellule a pennacchio, particolari elementi della glia descritti per la prima volta da Cajal.

3)      Lo strato intermedio delle cellule di Purkinje attualmente descritto come parte dello strato molecolare, che è stato considerato in passato l’elemento base del cervelletto. Infatti, alle singole cellule di Purkinje, che ricevono segnali dalle fibre rampicanti direttamente e dalle fibre muscoidi indirettamente per interposizione dei granuli, e forniscono l’unico output dalla corteccia, è stato dato il nome di “cervelletto istologico”.

 

La corteccia del cervelletto è la regione dell’encefalo in cui è stata stabilita con maggiore precisione la correlazione fra anatomia e fisiologia, e l’affascinante ricerca che ha portato alla definizione della sua architettura cellulare ha avuto inizio nel 1888 con gli studi realizzati da Santiago Ramòn y Cajal, usando il metodo dell’impregnazione argentica di Camillo Golgi, ed è proseguita nel secolo successivo grazie soprattutto alle osservazioni di sir John C. Eccles e collaboratori. Dalla scuola di Eccles proveniva Rodolfo R. Llinas, che nel 1975 integrò il suo contributo sperimentale in una sintesi schematica e concettuale resa in una iconografia ancora oggi adoperata per illustrare la disposizione nelle tre dimensioni dello spazio degli elementi che formano i circuiti della corteccia cerebellare[7].

Con questi studi classici fu anche definita la natura delle fibre muscoidi e delle fibre rampicanti. Entrambi i tipi di assoni sono eccitatori, ma obbediscono a criteri funzionali differenti e sostanzialmente opposti.

Le fibre rampicanti provengono da formazioni distanti, come il nucleo olivare inferiore, e ciascuna si dirige verso la cellula di Purkinje che costituisce il suo specifico bersaglio fin dallo sviluppo embrionario e sulla quale forma anche più di 300 sinapsi: la scarica della fibra rampicante è estremamente violenta e fa scomparire ogni attività del neurone di Purkinje, come fu dimostrato già nel 1964 da Eccles, Sasaki e Llinas.

Le fibre muscoidi, al contrario, eccitano numerose cellule di Purkinje, formando solo poche sinapsi su ciascuna di esse, e le raggiungono sempre con l’intermediazione dei piccoli interneuroni detti granuli[8].

Torniamo allo stato dell’arte bibliografico con meta-analisi di Aleksandra Kaliszewska, Joseph Allison e colleghi.

I ricercatori hanno cercato nelle banche-dati di PubMed, Scopus, Embase, Web of Science, Science Direct fino al 5 di marzo di quest’anno ed hanno estratto, seguendo i criteri di esclusione, 72 lavori sperimentali su un totale di 19.515.

Le meta-analisi sono state condotte su studi che riportavano gruppi sperimentali e gruppi di controllo con medie e deviazioni standard estratte dalle figure, usando lo strumento online PlotDigitizer. In tal modo sono stati rilevati difetti dendritici (P = 0.03), riduzione di C9orf72 umana in pazienti e perdita neuronica DPR-associata, ma nessuna anomalia di giunzione neuromuscolare o perdita di neuroni del cervelletto.

I risultati, così come sono stati elaborati dagli autori, suggeriscono che difetti di arborizzazione dendritica, deregolazione di geni sinaptici e alterazione della neurotrasmissione sinaptica possono condurre a disfunzione cerebellare nei pazienti SLA/DFT.

Nella loro rassegna, gli autori discutono come il cronologico apparire dei differenti contrassegni patologici alteri l’integrità sinaptica, e possa avere profonde implicazioni per la progressione della neurodegenerazione e, dunque, della malattia.

In conclusione, una riduzione dei livelli della proteina C9orf72, combinata con l’accumulo di foci RNA e DPR, crea un’azione sinergica che porta a sinaptopatia C9 nel cervelletto di pazienti affetti da C9-SLA/DFT.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-18 settembre 2021

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Tale ipotesi sembra essere avvalorata, in casi clinici di danno esteso del cervelletto, dal rilievo della perdita della capacità di apprezzare qualità di grado intermedio, con la tendenza a esprimere giudizi estremi: ottimo o pessimo.

[2] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia del cervelletto umano è sorprendente.

[3] Il nome greco θυία vuol dire “cedro” ed è stato dato per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di Cina, Giappone, Alaska e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino era detta Arbor vitae; come vuole la legge linguistica del “conservatorismo della periferia”, in America si è mantenuta la forma latina abbandonata in Europa ed è ancora chiamata arborvitae. L’origine della denominazione della sostanza bianca cerebellare è riportata nel Trattato di Anatomia Umana di Testut e Latarjet (vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974 e seguenti ristampe), nel quale la translitterazione dal greco è resa con thuya.

[4] Testut e Latarjet, op. cit., vol. III, p. 242.

[5] Testut e Latarjet, op. cit., ibidem.

[6] Ricordiamo che fu Purkinje, lo scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.

[7] Llinas R. R., La corteccia del cervelletto. Le Scienze 81, maggio 1975, ristampato in Il Cervello – organizzazione e funzioni (a cura di Angelo Majorana), Le Scienze Editore, pp. 120-131, Milano 1978.

[8] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia del cervelletto umano è sorprendente.